Ai fini antiriciclaggio sono da segnalare anche le operazioni pregresse che, pur eseguite, si rivelino sospette solo alla luce di successive operazioni ed attività effettuate dal fiduciante. La natura sospetta dell’operazione deriva da caratteristiche oggettive (caratteristiche, entità o natura o qualsivoglia altra circostanza oggettivamente significativa) e soggettive, con particolare attenzione alla capacità economica e patrimoniale del cliente. Applicabile il principio del favor rei alla sanzioni amministrative in tema di violazione della normativa antiriciclaggio comminate prima della data di entrata in vigore del D.Lgs. 90/2017, di modifica del D.Lgs 231/2017.
Queste alcune delle conclusioni cui è giunta la Corte di Cassazione, sez. II Civile, con la sentenza 20648 pubblicata l’8 agosto 2018 su ricorso degli amministratori delegati di una società fiduciaria a cui era stata comminata, in solido, una sanzione amministrativa molto pesante per omessa segnalazione di operazioni sospette, nel vigore dell’art. 3 della legge 197/1991.
Da segnalare anche le operazioni eseguite che si rivelino solo successivamente sospette
La Cassazione fornisce sul punto una chiave di lettura della normativa antiriciclaggio utile anche alla luce dell’impianto legislativo attuale (D.Lgs. 21 novembre 2007, n. 231 e successive modifiche ed integrazioni) precisando che:
“il carattere doveroso della segnalazione ben può emergere solo con il progressivo andamento del rapporto con l’intermediario. Il quale può avvedersi della anomalia della situazione, anche alla luce dell’accavallarsi delle operazioni e delle modalità di loro esecuzione”.
Secondo la Corte, la segnalazione delle sole operazioni successive fornirebbe un quadro parziale ed incompleto della situazione. L’obbligo di effettuare la segnalazione “senza ritardo” non significa in alcun modo che il connotato dell’urgenza non possa:
“estendersi alle operazioni pregresse, laddove ci si sia avveduti, in conseguenza dell’andamento della vicenda, del carattere sospetto della complessiva operazione”.
La Cassazione richiama come elemento di sospetto l’ignoranza, da parte della fiduciaria, della reale capacità economica ed imprenditoriale del fiduciante, la provenienza del denaro impiegato e la circostanza che le figure apicali della fiduciaria avessero disatteso i rilievi della società di revisione incaricata di controllare i singoli mandati e quelli della stessa banca controllante.
Adeguata verifica ed indici di anomalia emanati dalla autorità di settore competenti guidano l’intermediario nell’analisi dell’operazione sospetta
Anche anteriormente al D.Lgs. 231/2007 l’intermediario era tenuto a raccogliere e valutare una serie di dati ed informazioni sul fiduciante e sull’operazione.
Sul piano oggettivo, occorreva secondo la Corte considerare
“le caratteristiche, l’entità, la natura o qualsivoglia altra circostanza oggettivamente significativa”.
Su quello soggettivo, la capacità economica e l’attività svolta dal fiduciante.
Tutti questi elementi non possono essere superati dalla mera conoscenza della persona coinvolta, essendo necessario riscontrare una effettiva cognizione della capacità economica attuale del fiduciante e seguire il decalogo della Banca d’Italia in materia di indicatori di operazioni sospette.
Gli indici relativi alle operazioni sospette emanati dalle Autorità di vigilanza impongono quindi all'intermediario di effettuare specifiche indagini per valutare, in base ad altri dati, informazioni o notizie in forza dell’attività esercitata, l’effettiva natura di operazione sospetta. Trattasi, come precisa la Corte, richiamando propri precedenti (Cass. n. 9089/2007; 8699/2007) di valutazione basata su elementi oggettivi legati all’operazione e al profilo di chi la pone in essere, a nulla rilevando il personale convincimento degli organi apicali o dei responsabili dell’intermediario.
Pur collocata nel vigore della precedente normativa antiriciclaggio, il contenuto della sentenza sul punto appare rilevante anche nel contesto attuale di contrasto al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo.
Favor rei ed applicazione, anche a fatti intervenuti, del nuovo quadro sanzionatorio previsto dal D.Lgs. 90/2017
La misura delle sanzioni applicate anche in esito a procedimenti amministrativi già conclusi va adeguata alla norma sopravvenuta, se più favorevole al trasgressore.
Nel caso sottoposto all’esame della Corte, il Ministero dell’economia e delle finanze aveva comminato una sanzione pari al 25% delle operazioni sospette non segnalate, per un importo superiore a 6 milioni di euro. Con il nuovo quadro sanzionatorio, che nell’ipotesi base prevede una sanzione amministrativa di euro 3.000, le somme si sarebbero ridotte in modo notevole.
Secondo la Corte è inequivoco il dato letterale della nuova disposizione contenuta nell’art. 58 del D.Lgs. 231/2007, come modificato dall’art 5 del D.Lgs. 90/2017, che fa riferimento alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore della nuova normativa e non prevede alcuna condizione riferita alla intervenuta adozione del provvedimento amministrativo sanzionatorio.
Il precedente assume indubbia importanza in tutti quei casi in cui il quadro sanzionatorio pregresso appare sproporzionato rispetto all’effettivo pregiudizio arrecato dal comportamento dell’agente.
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